E’ stolta finzione e feroce inganno architettato da illuministi al lumicino far credere che la postuma memoria di sé consoli coloro ai quali la miscredenza e la disperazione promettono la finale discesa nel nulla spaventoso.
Nell’orizzonte del nichilismo non c’è aria per il respiro della consolazione. La memoria di sé oltre la morte è un bene che soltanto la coscienza dell’immortalità può apprezzare e desiderare.
L’incubo del nulla non può trovare sollievo e conforto nelle flebili parodie che promettono l’elargizione di un premio dopo l’annientamento. Una statua equestre, ad esempio, o una magniloquente targa accanto al portone di casa. Parafrasando un testo sacro si può dire che il nichilista, nel premio di consolazione, vede la beffa e si adira: digrigna i denti e si consuma.
Non per caso, colui che ha magnificamente interpretato la teologia cristiana, il sommo Dante, attribuì all’anima immortale e salvata di Pia de’ Tolomei il desiderio di essere rammentata ai viventi nel mondo.
Conservare la memoria dei defunti è un atto della pietà cristiana. Un atto che presuppone la possibilità di aggiungere un bene finito alla beatitudine senza fine, una piccola felicità alla già perfetta beatitudine.
Del paradosso rappresentato dall’anima che alla vigilia dell’infinita felicità desidera il bene finito, è consapevole Tommaso Romano, religioso cultore della memoria, consapevole di arrecar conforto ai buoni amici, che hanno abbandonato la scena del mondo per salire alla contemplazione delle innumerabili perfezioni di Dio.
Per scelta illuminata di Tommaso Romano, il più recente quaderno di “Spiritualità e letteratura” raccoglie gli atti del convegno (Palermo 2008) dedicato alla fertile intelligenza di Piero Scanziani (Chiasso 1908 – Mendrisio 2003), affascinante narratore e saggista acuto, instancabile nella ricerca d’una via d’uscita dai labirinti del pensiero debole, che ha estenuato e devastato le illusioni ideologiche della modernità.
Di Scanziani, Vittorio Vettori, collezionista dall’infallibile fiuto e promotore generoso dei veri talenti letterari, diceva che si parlerà sempre con crescente e rinnovato interesse.
Indubbiamente lo sguardo di Scanziani si è spinto oltre i labirinti neognostici, nei quali l’illusione moderna ha deposto i suoi sogni e i suoi artificiali entusiasmi.
Tommaso Romano al proposito scrive: “Ritengo essenziale ricordare nel contesto dell’opera di Scanziani, un Autore che egli ebbe presente: Agostino d’Ippona. Al santo di Agaste si deve la novità dell’indagine profonda sull’uomo inteso come vero mistero, singolarmente irrepetibile, insieme anima e corpo, (e al corpo dopo l’Incarnazione del Verbo, Agostino porrà ben altra attenzione del vano simulacro che certa cultura pagana e certa eterodossia cristiana disprezzavano)in cui l’interiorità oggettiva è immagine di Dio nell’anima: vi rispecchia Dio Onnipotente”.
Quasi facendo eco a Romano, Franca Alaimo definisce la scrittura di Scanziani “luminosa e sonore” e aggiunge “che scorre sulle pagine senza fratture logiche, facendosi veicolo perfetto di profonde risonanze interiori, che mi fanno venire in mente innanzitutto le Scritture sacre e poi le opere mistiche di Francesco d’Assisi, Teresina di Lisieux, Teresa d’Avila”.
Genio sorridente, Scanziani era capace di coniare battute folgoranti. Gaia Grimiani, cita la devastante definizione del materialista: “I materialisti vorrebbero impedire la ricerca dello spirito pretendendo che tutto è meccanismo senza scopo e retto soltanto dal caso. Il materialista è come ci, vedendo per la prima volta l’orologio ed esaminandone gli straordinari congegni dichiari: «E’ tanto perfetto che non deve servire a niente». E se gli fai osservare che l’orologio serve a misurare il tempo, egli lo nega, dicendo che il tempo non si trova nella casa e quindi non c’è”.
Primo Siena, infine, rammenta che “attraverso i suoi scritti, Piero Scanziani, manifesta il costante desiderio di Dio, che corre per il mondo”.
C’è d’augurarsi che i libri di Scanziani, sottovalutati dalla critica intitolata all’ateismo, entrino finalmente nella ideale biblioteca di quanti conservano, come un prezioso bene, la fedeltà alla sapienza cattolica.
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